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Cisti e Fistole Pilonidali

Patologia
Le cisti e fistole sacro-coccigee costituiscono un problema clinico tipico dell'adolescente e del giovane, sono più frequenti nel sesso maschile, con un rapporto maschio-femmina di circa 3:1; seppur apparentemente banali nella loro essenza rispetto ad altre patologie colo-retto-anali, spesso comportano una lunga morbilità associata ad una non trascurabile inabilità fisica postoperatoria, correlata essenzialmente all'inadeguatezza delle soluzioni terapeutiche attualmente perseguibili.

Fisiopatologia e clinica
Possono manifestarsi in forma asintomatica, con uno o più tramiti fistolosi mediani a fondo cieco, non secernenti, posti ad oltre 5 cm dall'orifizio e, in tal caso, non richiedono alcun trattamento. Nelle forme ascessualizzate, l'unica possibilità terapeutica è costituita dal drenaggio chirurgico della cavità ascessuale.
Le forme croniche sono quelle che più spesso giungono in elezione all'attenzione del chirurgo e pongono i maggiori problemi ai fini della guarigione.

Trattamento chirurgico
Chirurgicamente esistono sostanzialmente due approcci, uno di tipo conservativo e l'altro escissionale, più invasivo ma anche maggiormente radicale. Il primo richiede diverse sedute ambulatoriali per l'escissione, in anestesia locale, delle fistole mediane e per il curettage dei tragitti fistolosi laterali; i tempi di guarigione sono piuttosto lunghi, mediamente intorno ai 40-50 giorni ma, soprattutto, la frequenza di recidiva è molto elevata, tanto che in alcune esperienze sono state riportate recidive anche nel 70% dei pazienti. Si tratta quindi, a tutti gli effetti, di una soluzione tutt'altro che radicale. Più convincenti sono invece quegli interventi che prevedono l'escissione completa dell'area pilonidale lasciando poi che la breccia chirurgica guarisca spontaneamente di seconda intenzione, la così detta tecnica open, o con sutura della ferita chirurgica, al fine di ottenere una guarigione di prima intenzione. Tuttavia, se si decide di non suturare la ferita chirurgica il periodo di inabilità è indubbiamente piuttosto lungo, variabile dai 40 agli 80 giorni, sono necessarie medicazioni ripetute, anche assai fastidiose, il risultato estetico è tutt'altro che soddisfacente e le recidive interessano dal 15% al 30% dei pazienti, soprattutto se non si ha la cura di eseguire per qualche mese una adeguata tricotomia dell'area circostante, per prevenire l'introflessione di peli nella ferita. La sutura della ferita chirurgica, se tiene, comporta certamente una riabilitazione più precoce ma la realtà è che nel 20-50% dei casi si verifica la deiscenza della ferita e sono necessari tempi di guarigione addirittura più lunghi rispetto alla tecnica open. Anche in questo caso, i disturbi locali sono consistenti, sia per il dolore sia per la necessità di ripetute medicazioni. Le cause della deiscenza della ferita sono di duplice natura; da un lato, sulla linea mediana e, quindi, in corrispondenza della linea di sutura, è massima la trazione esercitata dalla contrazione dei muscoli glutei; come in qualsiasi ambito chirurgico, una sutura sottoposta ad eccessiva tensione tende a cedere. Inoltre, dopo l'asportazione radicale dell'area pilonidale, esita una cavità nella quale si raccolgono le sierosità della ferita che offrono un pabulum ideale per l'infezione della ferita chirurgica, riducendo ulteriormente le possibilità di tenuta della sutura. Il problema è stato solo parzialmente risolto con varie soluzioni plastiche ricostruttive, come le plastiche a Z, il lembo di Limberg o di Karydakis, poiché le percentuali di deiscenza della ferita non scendono sotto al 4-17%".
Si è pensato, allora, di risolvere il problema effettuando, da un lato, una ricostruzione dei piani secondo il principio "tensionfree" (letteralmente: senza tensione), in accordo con le regole della moderna chirurgia proposta per la riparazione delle ernie inguinali, vale a dire ricostruendo dei piani anatomici senza alcuna tensione. Nel caso specifico abbiamo pensato all'allestimento ilaterale, prima della chiusura della ferita chirurgica, di un lembo fibro-adiposo profondo che viene suturato sulla linea mediana; in tal modo, la forza di trazione viene ripartita anziché su di una unica singola sutura su due piani, uno profondo ed uno più superficiale cutaneo-sottocutaneo. Di fatto, a questa soluzione, a carattere essenzialmente plastico-ricostruttivo, ne è stata affiancata una seconda, decisamente più innovativa e di matrice essenzialmente biologica, che prevede l'impiego di un gel piastrinico con colla di fibrina di natura autologa, ovvero a partenza dal sangue dello stesso paziente, applicato sul fondo della breccia chirurgica. Questo materiale, oltre che come collante, viene sfruttato soprattutto per le sue proprietà rigenerative, uniche nel suo genere. Le piastrine contengono infatti dei fattori di crescita in grado di stimolare la neoangiogenesi, di richiamare localmente macrofagi, granulociti e fibroblasti, elementi essenziali per aumentare localmente le difese dell'organismo e stimolare la crescita e la riparazione tissutale. Questo gel è stato anche applicato pionieristicamente in altri ambiti chirurgici come in ortopedia, neurochirurgia e nella riparazione delle piaghe da decubito, con risultati di tutto rispetto. Per la preparazione del gel è sufficiente effettuare preoperatoriamente un prelievo di circa 300-400 cc di sangue, con una aferesi che restituisce immediatamente al paziente i suoi globuli rossi. I risultati clinici fino ad oggi sono stati decisamente buoni perché, dopo un'esperienza preliminare condotta su un campione ristretto di pazienti, abbiamo confrontato in uno studio clinico numericamente adeguato alcune delle diverse opzioni terapeutiche disponibili, da quella open tradizionale, che come abbiamo visto prevede la guarigione di seconda intenzione della ferita chirurgica, a quella basata esclusivamente sulla tecnica di ricostruzione della ferita con il lembo fibro-adiposo "tension-free" da noi propo- tegrazione della "tension-free" con l'impiego del gel piastrinico. I risultati di questo studio, recentemente pubblicati su una rivista scientifica di livello internazionale, hanno confermato che la metodica integrata ha contratto sensibilmente i tempi del recupero post-operatorio, dai 65 giorni medi previsti con la tecnica open tradizionale ai 15 necessari con il nostro metodo; inoltre, l'uso del gel piastrinico ha assai migliorato il risultato complessivo rispetto alla semplice "tension-free", poiché la percentuale i deiscenza della ferita è scesa da 14% al 3% e si è ridotto altresì il disconfort post-operatorio.Alla luce di questi risultati, riteniamo quindi opportuno consigliare a tutti i nostri pazienti questa soluzione chirurgica, evitando sistematicamente il ricorso alle tecniche open che, al momento, oltre che datate, appaiono gravate da un'inutile morbilità e inabilità post-operatoria.


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